Premessa
Se cerchi su un internet vedrai tantissimi esempi di “cose che hanno delle facce”, nel senso che noi umani vediamo facce in tante cose diverse. Un fenomeno che fa parte di quello che più in generale viene chiamato “pareidolia”, che vorrei però trattare qui più nello specifico.
Perché succede? Te lo spiego subito in questo articolo. Io per queste cose ci esco letteralmente scema (tradotto mi affascinano tantissimo), ma non è l’unico motivo per cui ho deciso di approfondire l’argomento nel blog, se arrivi fino alla fine vedrai come sapere queste cose è molto importante quando si tratta dell’ impatto visivo di una determinata immagine, che sia un logo o la copertina del tuo prossimo libro. 😉
Sia ben chiaro però che qui di seguito mi metterò a parlare di neuroscienze con lo stesso animo con cui un programmatore parla del suo amato gingillone trittico. 😀
Una cosa a metà fra la serietà di Superquark e le incredibili coincidenze di Voyager.
Quindi ci allontaniamo appena un po’ da branding e marketing in senso strettamente canonico per entrare più nel dettaglio di come noi umani “vediamo” la realtà attorno a noi.
Una parte di realtà almeno.
E’ giusto un assaggio, in cui ho cercato di inserire le questioni per me più salienti.
Queste sono informazioni che normalmente servono a me in fase di progettazione e disegno, quando si tratta in pratica di tirare su segni, forme, linee, cerchi e quant’altro che però devono essere “significanti” per chi li guarda e generare il più possibile una risposta emotiva.
UNA FACCIA NON E’ UN BICCHIERE
Tutti gli esseri umani hanno uno speciale “programma” nel cervello che li rende in grado di riconoscere volti, anche laddove sono appena abbozzati su un pezzo di carta.
Nel senso che noi abbiamo aree cerebrali sviluppate apposta per fare praticamente solo questo, riconoscere facce umane e distinguerle da cose e animali etc.
In pratica se attacchi dei cavetti elettrici al cervello di qualcuno è possibile vedere che ci sono aree che si attivano specificatamente solo quando nel campo visivo cade una sagoma sufficientemente inquadrabile come “volto”, di fronte o di profilo.
E’ una capacità che si attiva già da neonati.
Si è visto infatti come i bambini anche di poche settimane reagiscono in modo completamente diverso se messi dinanzi a segni grafici arbitrari (cerchi, triangoli etc) o se invece davanti si trovano segni che in qualche modo si compongono in un qualcosa di simile ad un viso, anche stilizzato tipo un emoticon o uno smiley.
Nel primo caso perdono interesse molto più facilmente che nel secondo caso, da cui invece sono molto più attratti.
Graficamente ho sempre trovato spassoso come anche uno scarabocchio fornito di due puntini diventi subito “un personaggio”.
Guarda la foto qui a fianco. Togli i puntini dalle forme e torneranno ad essere due cose prive di vita.
Abbiamo quindi una tendenza innata (che però può anche essere “coltivata”) a vedere una faccia in presenza di qualcosa che anche solo gli rassomigli. Questo a livello instintivo, poi col pensiero razionale che può sopraggiungere attimi dopo lo stimolo visivo facciamo le dovute considerazioni.
Dopo frazioni di secondo di sorpresa capiamo che quella che sembrava proprio tanto la faccia di qualcosa magari erano le ali di una farfalla o un fiore molto buffo.
CHE FACCIA SEI?
Volendo curiosare ancora di più, vedere e riconoscere che quella che abbiamo davanti a noi è “una faccia” è solo l’inizio.
Riconoscere in quella faccia nostra madre per esempio è una questione ancora più profonda ed è là che appare chiaro come cognizione ed emozione siano cose legatissime.
Un paziente affetto da sindrome di Capgras può non riconoscere che quella che si trova davanti è effettivamente la propria madre.
Riconosce che ha davanti una donna, che assomiglia molto alla madre, ma ribadisce che non è davvero sua madre ma solo una che le assomiglia moltissimo.
Cosa succede? Gli aspetti diciamo “grafico-pittorici” del riconoscimento funzionano, ma riconoscere la persona oltre la faccia va al di là delle forme visive e presuppone un coinvolgimento emotivo che qui viene a mancare.
Tale riconoscimento emotivo risiede in una piccola parte del cervello che in questi pazienti è lesionata.
Tale riconoscimento non riesce quindi a raggiungere correttamente l’amigdala che è un po’ la porta del sistema limbico, cioè il nucleo emozionale che gestisce affetti, paura e che attribuisce un significato emotivo a ciò che guardiamo.
Nei pazienti con lesioni maggiori di questo tipo, anche se trovano davvero difficile riconoscere un viso nell’insieme ( capiscono cioè di avere davanti un occhio, un naso, una bocca ma non riescono a vedere nell’ insieme la faccia) sono comunque in grado di dire se la persona che vedono frammentata è felice o triste, sanno dirci comunque se fra quei pezzi sparsi c’è magari un sorriso.
E’ incredibile che un sorriso venga individuato nel cervello anche se il viso non viene “visto”.
GLI UOMINI PREFERISCONO LE FACCE?
Avere un ‘area del cervello dedicata al riconoscimento delle facce fa si che nella comunicazione e nella pubblicità queste in effetti siano presenti in maniera massiccia.
Nel mucchio di immagini che ci assalgono quotidianamente, una faccia ha comunque per la mente un canale preferenziale.
La nostra è portata a riconoscerle e per riflesso anche in qualche modo a ” cercarle”.
Siamo neurologicamente portati a relazionarci ai volti, e diamo a questi volti significati emotivi.
La bocca della razza, se la guardi da sotto, è incurvata e a me mette di buonumore perché sembra sorridere (magari lo fa davvero chissà).
VABBE’ FIGO, MA A TE A COSA SERVE SAPERE QUESTE COSE?
Quando disegno o progetto un logo, devo sapere che cosa significano certi tratti grafici per un essere umano.
- Come vengono visti e interpretati almeno dalla maggioranza (poi si sa ogni capoccia una sentenza ma vabbè :D).
- Come e in che modo i contorni e le righe formano un’immagine riconoscibile o meno.
- 2 cerchi e 2 linee, a meno che non siano messi in modo completamente improprio, facilmente diventano una faccia.
Anche al rovescio.
Oppure che un mezzo cerchio viene percepito come un sorriso e che quel sorriso può portare ad una determinata emozione, che lo rende efficace per quel determinato progetto.
Io non mi faccio guidare dalla fantasia in fase progettuale o dal mio ego, ma soprattutto, non lascio nulla al caso. 😉